Un secondo sarcofago di piombo, che ha tutte le caratteristiche di un vero e proprio enigma, è stato rinvenuto nella cattedrale francese.Un elemento unico di tale sepoltura è la forma antropoide del sarcofago, modellato per adattarsi al corpo del defunto. La bara, inoltre, conteneva i resti di un sudario...


a cura della redazione, 10 dicembre

Lo scorso marzo abbiamo parlato del ritrovamento di un sarcofago sotto la navata di Notre Dame, a Parigi. Ne aveva dato notizia l'Istituto Nazionale per la Ricerca Archeologica Preventiva (INRAP), incaricato di scavare il sito prima dell'inizio dei lavori di restauro dopo il violento incendio che aveva devastato la cattedrale il 15 aprile 2019. Inaspettatamente però, durante le indagini è emerso, a un mese di distanza, un secondo sarcofago di piombo, che ha tutte le caratteristiche di un vero e proprio enigma. 

I due sarcofagi sono stati trasportati all’Istituto Forense dell'Ospedale Universitario di Tolosa, dove sono stati esaminati tra il 21 al 26 novembre scorso. Lo studio è stato condotto con indumenti protettivi e strumenti sterilizzati per salvaguardare i lavoratori dal rischio del piombo e le tombe dalla potenziale contaminazione umana. 

Dall'ultima nota stampa, diramata ieri (9 dicembre), scopriamo che si tratta di due sepolture d'elite che risalgono a periodi diversi, e forse molto distanti tra loro. Il secondo sarcofago, infatti, lascia un velo di mistero sulla sua identità e sulla data di sepoltura: rinvenuto in uno strato archeologico più profondo, non era etichettato come il primo feretro da una targa in bronzo, che identifica lo scheletro "più giovane" come Antoine de la Porte canonico della cattedrale di Notre Dame, morto nel 1710. Inoltre, il metodo d'inumazione e alcune caratteristiche insolite per l'epoca lascerebbero dubbi persino sulla retrodatazione della seconda sepoltura, che potrebbe essere anche più antica del XIV secolo.

Un elemento unico di tale sepoltura è la forma antropoide del sarcofago, modellato per adattarsi al corpo del defunto. La bara, inoltre, conteneva i resti di un sudario, foglie all’altezza dell’addome e fiori intorno alla testa, come una corona. I resti scheletrici indicano che il defunto era un uomo di età compresa tra i 24 e i 40 anni. Il suo osso pelvico e la parte superiore delle gambe mostrano che cavalcava fin dalla tenera età e per tale ragione i ricercatori lo hanno soprannominato “il cavaliere”. Oltre a soffrire di una specie di malattia cronica che gli aveva distrutto quasi tutti i denti, quando era solo un bambino il suo cranio, legato con una fascia, era stato deformato. 

La modifica deliberata del cranio è una pratica diffusa in diversi continenti e risale a decine di migliaia di anni fa, utilizzata anche dall’aristocrazia francese e in Italia nell’alto Medioevo. Basti guardare il ritratto di una principessa della Casa d'Este di Pisanello esposto al Louvre. È interessante notare, però, che la parte superiore della calotta cranica del nostro "cavaliere" era stata segata, prova inequivocabile, secondo i ricercatori, che fu imbalsamato. Una pratica, questa, estremamente rara nel Medioevo...


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Scendendo a tredici metri di profondità, sotto il Tempio di Taposiris Magna, a pochi chilometri dall'antica capitale egizia di Alessandria, un team di archeologi ha scoperto un tunnel segreto. Secondo le prime teorie, il cunicolo lungo oltre un chilometro, in parte sommerso dal Mediterraneo, potrebbe portare alla tanto agognata tomba di Cleopatra, uno dei grandi misteri dell'umanità...


a cura della redazione, 8 novembre 

Scendendo a tredici metri di profondità, sotto il Tempio di Taposiris Magna, a pochi chilometri dall'antica capitale egizia di Alessandria, un team di archeologi ha scoperto un tunnel segreto. Secondo le prime teorie, il cunicolo lungo oltre un chilometro, in parte sommerso dal Mediterraneo, potrebbe portare alla tanto agognata tomba di Cleopatra, uno dei grandi misteri dell'umanità.

Il Ministero egiziano del Turismo e delle Antichità ha annunciato il ritrovamento, descrivendo il tunnel come "un prodigio della tecnica ingegneristica antica", per molti aspetti simile al tunnel di Eupalinos sull'isola greca di Samos. A scoprirlo l'archeologa Kathleen Martinez dell'Università di Santo Domingo, da tempo è impegnata nelle ricerche sull’ultima sovrana del periodo tolemaico (51 al 30 a.C.). 

Un suggerimento in tal senso verrebbe dalle monete con immagini dell'ultima regina d'Egitto rinvenute nel sito, ma le probabilità di trovare la tomba di Cleopatra per alcuni archeologi sono dell’1%. Trovare i resti dell'ultima donna faraone d'Egitto sarebbe la scoperta più importante del XXI secolo. Al momento abbiamo ancora più domande che risposte. Il tunnel presenta zone praticamente cieche, causate dai terremoti della zona negli ultimi decenni. 

Al suo interno sono stati ritrovati anche manufatti mai visti prima e tra gli oggetti rinvenuti ci sono statue decapitate della dea Iside. Finora gli scavi hanno rivelato mummie con lingue d'oro e un cimitero contenente mummie in stile greco-romano sepolte di fronte al tempio, a sostegno della teoria di Martinez secondo cui nell'area fu costruita una tomba reale. Oltre al tunnel, l'ultimo ritrovamento comprende due statue di alabastro di epoca tolemaica, una delle quali sembra essere una sfinge, oltre a diversi vasi diversi in ceramica e un blocco rettangolare di calcare.


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n un patio sommerso a Uxmal, l'antica città Maya fondata intorno al 700 d.C., un team di ricercatori guidati da José Huchim Herrera ha scoperto una stele raffigurante un dio e una dea.


a cura della redazione, 24 ottobre 

In un patio sommerso a Uxmal, l'antica città Maya fondata intorno al 700 d.C., un team di ricercatori guidati da José Huchim Herrera ha scoperto una stele raffigurante un dio e una dea. Lo ha annunciato il direttore dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) del Messico, Diego Prieto, spiegando che si tratta di "una doppia stele commemorativa scolpita su entrambi i lati". Il monumento potrebbe rappresentare la dualità tra la vita e la morte, raffigurazioni comuni nelle regioni culturali di Puuc e Chenes nella penisola meridionale dello Yucatán. 

Su un lato del monumento è scolpita l'immagine di una dea con grandi occhi, il petto nudo e riccioli agli angoli della bocca. Ella sua mano sinistra un uccello quetzal. Indossa una decorazione pettorale con tre file di perle, bracciali con dettagli intarsiati e una lunga gonna reticolata che arriva fino ai talloni . Sul lato opposto della stele è stata scolpita l'immagine di un dio che potrebbe rappresentare la vita. Viene mostrato con indosso un copricapo di piume a tesa di gufo, un mantello, bracciali, un perizoma e bende che fasciano le gambe. Tiene un bastone nella mano sinistra e un fagotto nella destra. 

Il Sunken Patio, dove è stata ritrovata la stele, fa parte del gruppo chiamato El Palomar, un complesso architettonico in cui il primo è un seminterrato su cui posa il secondo, seguito da un altro quadrilatero e da un altro seminterrato sul quale sorge il Tempio Sud, secondo un modello triadico. Il nome del gruppo è dovuto dalla conformazione del frontone a nido, formato da nove unità triangolari sfalsate e traforate che poggiano su una fila di pilastri, detti "cresta di tipo peninsulare", nel tipico stile della prima architettura Puuc (tra il 670 e il 770 d.C.).

La stele è stata scoperta nell'ambito del Programma per il miglioramento dei siti archeologici (Promeza), che intraprende progetti archeologici lungo il percorso del Treno Maya . Il direttore dell'INAH ha affermato che “l'importanza della scoperta sta nel fatto che è stata trovata 'in situ'”, ovvero nello stesso luogo in cui i Maya l'hanno lasciata: il patio sommerso dell'antica città situata a 62 chilometri a sud di Mérida. Uxmal, dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 1996, fa parte della Strada del Puuc (una raccolta di cinque antichi siti Maya nello Yucatán). 

Il nome del sito potrebbe derivare da oxmal, che significa "costruito tre volte" e forse si riferisce alla sua antichità e al numero di volte in cui la città Maya dovette essere ricostruita. Si ipotizza anche un'etimologia dal termine uchmal, che significa “ciò che verrà”, “il futuro”, un'idea che coincide con la tradizione secondo cui Uxmal fosse una “città invisibile”, costruita in una notte dalla magia di un re nano nato da un uovo.Il riferimento più antico a questa splendida città si trova nel Chilam Balam di Chumayel, dove si dice: “I sacerdoti di Uxmal veneravano Chac, i sacerdoti dei tempi antichi. E Hapai Can è stato portato sulla sua nave. Quando è arrivato, le mura di Uxmal erano segnate di sangue…


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Durante gli scavi a ridosso di una fossa nella bassa Franconia, è stata scoperta una scultura in argilla che risale a migliaia di anni fa. La fisionomia della statuina e il luogo del suo ritrovamento ne indicano un'inequivocabile funzione di oggetto di culto, unico nel suo genere per l'Europa centrale...


a cura della redazione, 13 luglio

Durante uno scavo per i lavori di costruzione della circonvallazione di Mönchstockheim, in Baviera, gli archeologi hanno scoperto un reperto unico nel suo genere per l'Europa centrale, che rappresenta un'antichissima Dea dell'Acqua. Statuette simili, in argilla, sono state rinvenute nella regione occidentale del Mar Nero, l'odierna Bulgaria, e risalgono al V millennio a.C.. Finemente modellata, con le orbite, il naso, le labbra e il mento chiaramente visibili, l'effige preistorica è alta solo 19 centimetri.

Purtroppo diverse parti del viso si sono staccate: la figura una volta aveva un naso adunco, che ricorda il modo in cui venivano raffigurati gli uccelli acquatici, e zigomi ingrossati. Stefanie Berg, capo conservatore dell'Ufficio statale bavarese per la Conservazione dei Monumenti, ritiene che questi ultimi potessero essere corna o una specie di cerchio intorno alla testa, una sorta di aureola. Il suo volto resta astratto, non personalizzato, come se indossasse una maschera sciamanica. Ogni lato della testa presenta cinque fori, dall'altezza del mento inferiore fin sopra la linea dell'occhio, che potrebbero essere stati il supporto per anelli di metallo. Infine, la forma del corpo, in un unico blocco, non fornisce alcuna informazione sul sesso. Mancano le gambe e la superficie anteriore della parte superiore del busto.

Gli archeologi ritengono che non sia un caso che la statuina giacesse in profondità, in quello che un tempo era uno "specchio d'acqua", nell'altopiano oggi arido della Franconia, circondato da sorgenti. La fisionomia, come il luogo del ritrovamento, ci parlano della sua funzione di oggetto di culto con un forte legame con l'Acqua e il Femminino Sacro. Simbolicamente questa fonte di vita, paragonabile al liquido amniotico in cui è immerso il feto, è un elemento chiave legato alla Dea Madre che ricongiunge Cielo e Terra. 

Il Femminino Sacro dominava ogni aspetto della vita in tutte le regioni comprese nell’area della Vecchia Europa, in un periodo che va approssimativamente dal 7000 al 3500 a. C., dove sono state trovate moltissime statuette sacre dai tratti femminili (più di 30.000). Marija Gimbutas, che studiò migliaia di queste statuette e di oggetti, suddivise i simboli iconografici rappresentati in due categorie. Ci sono quelli che appartengono agli elementi dell’aria, dell’acqua e della pioggia, repertati su tutta l’oggettistica, il vasellame e i modelli in creta dei templi, come losanghe, labirinti, spirali, linee a zigzag, onde, uova di serpente e uccello. E quelli che appartengono al ciclo delle stagioni e della vita, come la croce (legata ai quattro elementi della dimensione materiale, ai punti cardinali e alle stagioni), la croce in un cerchio, la croce uncinata, la luna crescente, le corna bovine, il carro, l'uovo, il pesce (quest'ultimo meriterebbe un discorso a parte in quanto legato alla vulva della Dea e al mito dell'uovo primordiale). In questo reperto troviamo sia il naso uncinato, che richiama la simbologia dell’uccello, considerato anticamente una creatura dell’acqua, sia la mezza falce di luna o le corna, che partirebbero dagli zigomi, associate sin dal Paleolitico alla fertilità e al ciclo di morte e rinascita che governa l’Universo.
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La piccola figura in argilla era custodita insieme a pezzi di vetro, ceramiche, strumenti in osso e un sigillo. I reperti ceramici non mostrano segni da esposizione agli agenti atmosferici, suggerendo siano stati intenzionalmente depositati come offerte. "È plausibile che le persone a quel tempo considerassero questo luogo sacro e che la piccola statuetta servisse loro come offerta rituale o addirittura gli attribuissero poteri magici", spiega in un comunicato il curatore generale Prof. Mathias Pfeil, capo dell'Ufficio Statale per la Conservazione dei Monumenti Bavaresi.

FOTO ©Bayerisches Landesamt für Denkmalpflege - Anche il sigillo in argilla rinvenuto nello stesso sito è estremamente insolito. La sua superficie di stampa è curva verso l'interno, gli esperti ritengono che fosse usato per decorare materiali organici

La piccola Dea è stata trovata in una fossa preistorica, nelle vicinanze di un insediamento del periodo Hallstatt ai margini della pianura di Unkenbach. La cultura di Hallstatt fu predominante nell'Europa occidentale e centrale durante la tarda età del bronzo e la prima età del ferro, così chiamata da un villaggio sul lago nel Salzkammergut austriaco a sud-est di Salisburgo. Gli scienziati hanno datato al radiocarbonio un pezzo di carbone e un chicco di grano bruciato trovati accanto alla figura e hanno scoperto che entrambi risalgono all'VIII-VI secolo a.C.. Un indizio che ha portato i ricercatori dell'Ufficio bavarese a ipotizzare che il misterioso oggetto possa risalire a un culto praticato in questi luoghi 2.800 a 2.500 anni fa. Non è chiaro, però, se la statuina sia un oggetto più antico, tramandato per millenni. 


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I ricercatori scoprono un'incredibile iscrizione proto-ebraica su una piccola lastra di piombo ripiegata nascosta tra i sedimenti dell'Altare di Giosuè sul monte Ebal...


a cura della redazione, 6 luglio

Gli archeologi che lavorano in Cisgiordania affermano di aver scoperto una minuscola "Tavoletta della Maledizione", appena più grande di un francobollo. Incisa con lettere antiche, in una prima forma di ebraico, il testo invita Dio a maledire un individuo che infrange un accordo. Dalla simmetria, sembra sia stata scritta come un parallelismo chiastico. Sebbene la datazione non sia stata verificata e il ritrovamento non sia stato ancora reso noto in una pubblicazione scientifica, i suoi scopritori ritengono che la tavoletta abbia almeno 3.200 anni. Questi tipi di amuleti sono ben noti nel periodo ellenistico e romano, ma le ceramiche tra le quali era nascosta risalgono alla prima età del ferro o tarda età del bronzo, quindi logicamente la tavoletta dovrebbe appartenere a uno di questi periodi antecedenti. Ciò, a quanto dicono, renderebbe l'iscrizione il più antico testo ebraico conosciuto da centinaia di anni a questa parte, e il primo a contenere il nome ebraico di Dio. 

Il dottor Scott Stripling, capo dello scavo presso la biblica Shiloh, e i suoi colleghi hanno annunciato la scoperta in una conferenza stampa a Houston, in Texas, il 24 marzo. VIDEO ©Associates for Biblical Research

Il leader del progetto Scott Stripling, archeologo e direttore degli scavi per l'Associates for Biblical Research (ABR), con sede negli Stati Uniti, ha affermato che il suo team ha trovato la tavoletta della maledizione a nord della città di Nablus, a dicembre 2019 grazie a un processo di "setacciatura a umido" del materiale. Stavano lavando i sedimenti scartati negli ani '80 durante gli scavi archeologici sul Monte Ebal. Questo cumulo di sedimenti era probabilmente il materiale di scarto dagli scavi dell'antica struttura in pietra chiamata "Altare di Giosuè", su un crinale della montagna Alcuni pensano che la struttura potrebbe essere il luogo in cui la figura biblica - il successore di Mosè come capo degli Israeliti - sacrificò animali a Dio, mentre altri pensano che sia un altare sacrificale dell'Età del Ferro, di diverse centinaia di anni dopo. 

"L'altare di Giosuè" nel sito archeologico del Monte Ebal, 15 febbraio 2021. Secondo il Libro del Deuteronomio nella Bibbia ebraica, fu uno dei primi luoghi di Canaan visti da lontano dagli antichi israeliti dopo essere stati condotti fuori da un deserto orientale da Mosè. In un passaggio biblico, Mosè invitò un gruppo di tribù israelite a proclamare maledizioni dal monte Ebal, mentre un altro gruppo di antiche tribù israelite proclamò benedizioni dal vicino monte Garizim. Questo è un sito appartiene all'ondata di insediamenti negli altopiani nella prima fase dell'età del ferro. Risale all'XI secolo a.C. In quanto tale, può essere inteso come rappresentante dei gruppi che fondarono il regno di Israele (il Regno del Nord) nel X secolo a.C. In altre parole, è uno dei primi siti israeliti

I dettagli della tavoletta - un foglio di piombo piegato di 2,5 per 2,5 centimetri, saranno pubblicati su una rivista archeologica entro la fine dell'anno, ma il team ha voluto dare l'annuncio in anticipo. Quaranta lettere proto-alfabetiche, incise in una forma primitiva di ebraico o cananeo sulla superficie esterna e interna della tavoletta di piombo ripiegata, avvertono cosa accadrebbe se qualcuno sotto patto - un accordo legalmente vincolante - non rispettasse i propri obblighi.

La più antica iscrizione biblica decifrata. Una svolta nella ricerca delle scritture ebraiche ha gettato nuova luce sul periodo in cui è stata scritta la Bibbia. Il professor Gershon Galil del Dipartimento di studi biblici dell'Università di Haifa ha decifrato un'iscrizione su un frammento di ceramica scoperto nella valle di Elah risalente al X secolo a.C. (il periodo del regno di re David) e ha dimostrato che si tratta di un iscrizione. La scoperta rende questa la prima scrittura ebraica conosciuta. Il significato di questa svolta si riferisce al fatto che almeno alcune delle scritture bibliche furono composte centinaia di anni prima delle date presentate oggi nella ricerca e che il Regno di Israele esisteva già a quel tempo. FOTO ©Università di Haifa

 «Maledetto, maledetto, maledetto — maledetto dal Dio Yahweh», si legge nell'iscrizione, usando una forma di tre lettere del nome ebraico di Dio che corrisponde alle lettere inglesi YHW. Se la datazione sarà confermata, l'iscrizione sulla tavoletta della maledizione ritarderebbe di diverse centinaia l'alfabetizzazione tra gli antichi Israeliti.


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a cura della redazione, 3 luglio

Un bizzarro scrigno del secolo scorso, contenente un kit accessori ad uso “paranormale” contro i vampiri, un tempo era di proprietà del nobile britannico Barone Malcolm Hailey, già governatore del Punjab dal 1924 al 1928. Lo scrigno contenente i parafernalia è stato venduto per 13.000 sterline a un'asta nel Derbyshire. Non è chiaro quanto seriamente Lord Hailey prendesse la minaccia dei vampiri, o se il kit sia mai stato davvero usato. La scatola del XIX secolo presenta due crocifissi in ottone sul coperchio, che fungono da serrature scorrevoli segrete. All'interno ci sono crocifissi, un paio di pistole, una fiaschetta di ottone per la polvere da sparo, acqua santa, una Bibbia gotica, un martello di legno, un paletto dello stesso materiale, candelieri di ottone e grani del rosario. 

Diversi oggetti sono timbrati con le iniziali di Lord Hailey. Erano inclusi anche documenti della polizia metropolitana che apparentemente registravano un "nemico alieno" nel 1915, durante la Prima Guerra Mondiale. William Malcolm Hailey, primo barone Hailey nacque nel 1872 e divenne Governatore del Punjab dal 1924 al 1928 e poi Governatore delle Province Unite dal 1928 al 1934. Secondo la storia di famiglia, Lord Hailey potrebbe anche aver lavorato come spia durante la Seconda Guerra Mondiale. Morì nel 1969 e ha una lapide nell'Abbazia di Westminster. 

LO SAPEVI CHE - Solitamente kit di vampiri simili sono souvenir tardo vittoriani, venduti ai turisti in viaggio nell'Europa orientale sulla scia della pubblicazione di Draculanel 1897. Alcuni venditori e organi di stampa affermarono addirittura che erano stati creati a scopo di autodifesa.

Charles Hanson, proprietario di Hansons Auctioneers, che ha svolto l’asta, in un comunicato ha dichiarato: "I vampiri fanno parte della cultura popolare da oltre 200 anni. Sono consacrati nel folklore europeo. La pubblicazione de “Il vampiro” di John Polidori, nel 1819, ebbe un grande impatto e fu seguita dal classico “Dracula”, di Bram Stoker, del 1897. Tuttavia, la fede nei vampiri e nelle strane superstizioni va ancora più indietro e persiste fino ad oggi. Il compito di uccidere un vampiro era estremamente serio e i resoconti storici suggerivano la necessità di metodi e strumenti particolari".

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Intervenendo per il il restauro sull’edificio preispanico, oltre a rinvenire i resti di policromia rossa originaria, è stato individuato un accesso sul tetto della casa D, che conserva tre gradini...


a cura della redazione 1 luglio

Dopo quattro anni di lavoro sul campo, un gruppo di restauratori ha confermato che il tetto del centro cerimoniale e amministrativo della città di Palenque, nel Chiapas, noto come il Palazzo, era dipinto di rosso. Intervenendo in modo integrale sull’edificio preispanico, dai suoi tetti alle sue fondamenta, gli specialisti hanno registrato importanti scoperte; tra le più recenti, il rinvenimento di resti di policromia rossa originaria. Durante il restauro è stato anche individuato un accesso sul tetto della casa D, che misura 75 per 45 centimetri, che conserva tre gradini. La recente scoperta porta gli esperti a ripensare gli usi dati in passato ai tetti (PDF). 

Si tratta dell'edificio Maya più emblematico della zona, costituito da quattro costruzioni: le cosiddette case B, C, D ed E. Questi lavori hanno permesso di rilevare anche un vecchio accesso sul tetto della Casa D, dove sono stati rilevati i resti dell'originaria policromia rossa. 

LO SAPEVI CHE - Contrariamente agli Antichi Egizi, i Maya costruivano le piramidi raggruppando piccole pietre che furono poi ricoperte di stucco e dipinte di rosso, a simboleggiare il Ch'ulel o energia vitale (sangue), di cui imbevevano le loro piramidi per compiere l'Atto di Potere. Ed è per questo che I Maya chiamavano le loro piramidi Witzob' (Montagne Magiche).

Il condirettore del progetto di Conservazione architettonica e finiture decorative del palazzo, Haydeé Orea Magaña, insieme all'archeologo Arnoldo González Cruz, ha spiegato che la posizione del frammento policromo, che misura 1 metro per 85 centimetri, era all'estremo nord della Casa D, pur rimuovendo il cemento che era stato posto in un precedente restauro, effettuato dall'archeologo Jorge Acosta, tra gli anni '60 e '70, quando fu posato il cemento che la proteggeva. La traccia di pigmento rosso, prodotto da ossidi di ferro e altri minerali, è stata nuovamente ricoperta da strati protettivi e intonaci di calce e sabbia, per garantirne la permanenza in futuro. Se fosse stato lasciato scoperto, il colore si sarebbe presto degradato. 

Nel periodo classico (250-1000 dC), Palenque fu una delle più importanti capitali Maya. Raggiunse il suo apogeo sotto il regno di Pakal (615-683). I Maya consideravano Palenque, una città che conoscevano come Lakamhá, la capitale di uno dei quattro settori del loro mondo. Questa era limitata alle giungle della Mesoamerica (la vasta regione storica formata dal Messico e dall'America Centrale), e si estendeva per poco meno di 300.000 chilometri quadrati che oggi sono divisi in quattro paesi: Messico, Guatemala, Belize e Honduras. 

LO SAPEVI CHEIl corredo della Regina Rossa. Quella di Pakal II non è l'unica tomba rilevante a Palenque. Proprio accanto al tempio che protegge la cripta di quel sovrano c'è un insieme di templi, costruiti nell'VIII secolo, che proteggono le tombe di importanti membri della dinastia Palenque. Nel Tempio XII, o Tempio del Teschio, è stata trovata una stanza a volta contenente alcune ossa umane frammentate e numerosi oggetti di giadeite. Il tempio più importante di questo complesso è senza dubbio il Tempio XIII o Tempio della Regina Rossa, all'interno del quale è stata edificata una struttura funeraria a tre vani voltati, divisi da ampie mura. Nella sala centrale è stato rinvenuto un sarcofago monolitico, coperto da una lapide, con lo scheletro di una donna intorno ai 40 anni, accompagnato da sontuosi corredi funerari.

La stessa policromia si trova in una camera funeraria scoperta 23 anni fa a Palenque, una tomba reale di circa 1.500 anni fa, si trova all'interno del Tempio XX ed è, secondo l'INAH, almeno due secoli più antica della tomba di Pakal. Per le date siamo antecedenti alla nascita della dinastia Palenque, intorno all'anno 400. Si potrebbe parlare del recinto funerario del suo fondatore, anche se questa rimane ancora una speculazione. Questo spazio potrebbe essere un'anticamera, perché non sappiamo cosa c'è sotto. Studi sui murales hanno rivelato un'alta concentrazione di solfuro di mercurio o cinabro, un pigmento molto apprezzato in Mesoamerica. La camera funeraria, però, non contiene solo la pittura murale, perché sulla soglia ovest ci sono anche frammenti di un tessuto di colore grigiastro che è attaccato a un cornicione, mentre nell'accesso alla camera principale, ci sono dipinti rinvenuti negli stipiti. Forse i pigmenti che sono stati applicati su questa superficie contenevano un legante per gomma base da una pianta locale. 

A differenza delle camere funerarie di Pakal e della Regina Rossa, la camera o l'anticamera del Tempio XX non ha un sarcofago, almeno da quanto scoperto sino ad ora, ma ha murales in vivaci toni di rosso sui tre lati, con rappresentazioni di dei Nove Signori di Xibalba, o del mondo sotterraneo, che appaiono anche, modellati in stucco, nella tomba di Pakal. I murales mostrano questi personaggi mitici che indossano copricapi, scudi e sandali. Si tratta di un recinto funerario del primo classico (400-550 dC), uno dei pochi esempi di murales scoperti in contesti funerari a Palenque. Quest'anno saranno avviati gli interventi di riparazione e consolidamento dei rilievi stuccati dei nove signori della notte che circondano la camera funeraria del sovrano K'inich Janaab' Pakal, ospitata nel Tempio delle iscrizioni. Quali altri segreti scopriremo?


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Gli archeologi hanno iniziato un nuovo scavo nella tomba a camera neolitica legata al leggendario Re e al mito del Santo Graal...


a cura della redazione 1 luglio

Gli archeologi dell'Università di Manchester hanno iniziato uno scavo in un sepolcro di 5.000 anni fa, sperando di rispondere ad alcuni dei misteri che circondano l'enigmatico sito. Si tratta di una tomba a camera neolitica, situata su una collina che domina sia la Golden Valley che la Wye Valley nell'Herefordshire, in Inghilterra. Non è mai stata scavata in precedenza, ma l’English Heritage afferma che esempi simili nella stessa regione sono stati trovati per contenere resti scheletrici incompleti di diverse persone, insieme a scaglie di selce, punte di freccia e ceramiche. 

Come molti monumenti preistorici nell'Inghilterra occidentale e nel Galles, questa tomba è stata collegata a Re Artù sin da prima del XIII secolo. Secondo la leggenda, fu qui che Artù uccise un gigante che lasciò l'impronta dei suoi gomiti su una delle pietre mentre cadeva. Altre leggende suggeriscono che la tomba sia un indicatore di una delle grandi battaglie di Artù, o che le impronte siano state lasciate dallo lui stesso quando si inginocchiò lì per pregare. Sembra sia la stessa pietra che ha ispirato CS Lewis quando ha creato il suo mondo immaginario di Narnia, ponendo la “Pietra di Artù”, come altare su cui viene sacrificato il leone Aslan in “Il leone, La strega e L'armadio”.

Oggi rimangono solo le pietre più grandi della camera interna, poste in un tumulo la cui dimensione e forma originali rimangono un mistero. La camera è formata da nove pietre verticali, con un'enorme pietra di copertura che si stima pesi più di 25 tonnellate in cima. Vi si accedeva dal lato del tumulo di copertura, tramite il passaggio ad angolo retto. C'è una pietra isolata che probabilmente faceva parte di un falso ingresso, forse fornendo un focus visivo per le cerimonie.

Il sito risale al periodo compreso tra il 3.700 a.C. e il 2.700 a.C. durante il periodo neolitico. È improbabile che il monumento sia stato costruito esclusivamente come tomba. Qui potrebbero essersi svolti rituali degli antenati, attraverso i quali si potevano mettere in gioco pretese su una particolare area di terra. Costruiti in una zona di alpeggi, i popoli neolitici avrebbero potuto radunarsi al tumulo stagionalmente.

GUARDA I NOSTRI VIDEO - Adriano Forgione, direttore della rivista mensile FENIX, ci racconta dalla rocca di Tintagel, nel Sud dell'Inghilterra, la leggenda del concepimento di Artù, figlio di Uther Pendragon, Re Sacro, spiegando il significato metaforico di queste emblematiche figure, in un'approfondita analisi comparata delle tradizioni di tutti i tempi, tra storia, favole e miti, volgendo lo sguardo verso un unico comune denominatore: la vittoria della Luce sulle tenebre, il concepimento del Re del Mondo, Re di Pace e di Giustizia, Sacerdote di Sè stesso. 

Nell'ambito di un progetto congiunto tra English Heritage e l'Università di Manchester, gli archeologi stanno rimuovendo per la prima volta il tappeto erboso per rendere visibile la stratigrafia sottostante e registrare eventuali resti archeologici. Il nuovo scavo segue una ricerca intrapresa dalle Università di Manchester e Cardiff immediatamente a sud del monumento lo scorso anno che ha già cambiato il modo di pensare sull'orientamento e le origini del sito. Si presumeva che la Pietra di Arthur si trovasse all'interno di un tumulo di pietra a forma di cuneo, simile a quelli trovati nelle Cotswolds e nel Galles del Sud, ma il professor Julian Thomas di Manchester e il professor Keith Ray di Cardiff hanno scoperto che il monumento originariamente si estendeva in un campo a sud-ovest, e potrebbe aver avuto la forma di un basso tumulo di erba con estremità arrotondate. 

I professori Thomas e il professor Ray guideranno anche i prossimi scavi, con la partecipazione di studenti dell'Università di Cardiff e di una serie di istituzioni americane. Ciò fornirà nuove informazioni sui costruttori di tombe e consentirà al team di comprendere ulteriormente le dimensioni e la forma originali della Pietra di Artù.


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Dopo essere state separate per 3.000 anni, la scultura di una divinità con testa umana su corpo di serpente, è stata riunita con una misteriosa effige a forma di zampa di uccello rinvenuta 38 anni prima...


a cura della redazione 30 giugno

Dopo essere state separate per 3.000 anni, sepolte in due distinte fosse sacrificali nel sito archeologico di Sanxingdui, nella Cina sud occidentale, una enigmatica scultura di una divinità con testa umana su corpo di serpente, dissotterrata lo scorso giugno, è stata riunita con una misteriosa effige a forma di zampa di uccello rinvenuta 38 anni prima. La statua, in bronzo, era stata fusa in tre parti poi saldate insieme: una base a urna; la parte centrale con la testa antropomorfa con occhi, zanne e corna sporgenti, su un corpo di serpente; e sopra la testa uno zun, un recipiente per bere, a forma di tromba di cinabro. Le tre sezioni combinate costituiscono una scultura alta più di un metro e mezzo che rappresenta una figura mitologica diversa dalle consuete iconografie del regno Shu dell'età del bronzo, cui si pensa appartenga. Gli archeologi ipotizzano si tratti della rappresentazione di una divinità. Quale non è ancora chiaro.

Il corpo serpentino, girato all'indietro, sembra compiere una torsione ascensionale che riflette simbolicamente l'importanza dell'elemento sacrificale nell'evoluzione spirituale di chi nasce a nuova vita, dopo la morte. Inoltre, la figura ha cinque ciocche di capelli ed è unica nel suo genere. Le le altre sculture in bronzo, fino ad oggi rinvenute nel sito, mostrano capelli intrecciati o una sorta di chignon.

La parte con l'artiglio di uccello rinvenuta nel 1986 era chiaramente incompleta, ma gli studiosi non ne comprendevano la funzione né il verso in cui fosse utilizzata. osservandola, sembra la zampa di una creatura che indossa una "gonna aderente" con un motivo a nuvole, da cui emergono due artigli che stringono le teste di due uccelli dal collo lungo. Dopo essere stata esposta per anni a testa in giù al Museo di Sanxingdui, si è scoperto che mancava la sua metà anteriore: la "vita" della "gonna" si adatta perfettamente a un'appendice ricurva sul retro della statua scoperta di recente. 

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Scoperte originariamente alla fine degli anni '20, le rovine di Sanxingdui sono una delle più grandi scoperte archeologiche al mondo del XX secolo. Situate nella città di Guanghan, si ritiene che le rovine, che coprono un'area di 12 chilometri quadrati, siano i resti del regno di Shu, una civiltà che risale ad almeno 4.800 anni fa. All'inizio del 1986, gli archeologi hanno scoperto migliaia di preziose reliquie culturali nelle fosse 1 e 2, tra cui uno scettro d'oro e un albero sacro di bronzo, che hanno suscitato interesse in tutto il mondo. 

Un team congiunto di archeologi dell'Istituto di Ricerca sulle reliquie Culturali e Archeologiche della provincia del Sichuan, l'Università di Pechino, l'Università di Sichuan e altri istituti di ricerca, ha scavato altre sei fosse del sito dal 2020. Gli scavi tra marzo e agosto 2021 hanno portato alla scoperta di oltre 80 tombe antiche e più di 10 siti di rovine di abitazioni che risalgono alla dinastia Zhou occidentale (1046 a.C.- 771 a.C.) e al periodo delle primavere e degli autunni (770 a.C. - 476 a.C.). Nello scavo più recente, gli archeologi hanno trovato 3.155 reliquie relativamente intatte, tra cui più di 2.000 oggetti in bronzo e statue. Finora, nel sito sono stati rinvenuti più di 50.000 oggetti di bronzo, giada, oreficeria, ceramica e avorio.

I ricercatori hanno descritto una scatola a forma di guscio di tartaruga in bronzo e giada come uno dei loro reperti più intriganti, data la sua forma distintiva, l'arte raffinata e il design ingegnoso. Sebbene non sappiamo a cosa servisse, presumono si tratti di un tesoro. Nella stessa fossa numero 8 i ricercatori hanno rinvenuto un altare di bronzo alto quasi un metro. Si pensa fosse utiilizzato per fare offerte al cielo, alla terra e ai loro antenati. Tracce, intorno alle fosse, di bambù, canne, semi di soia, bovini e cinghiali suggeriscono che questi fossero tutti offerti come sacrifici.


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Si tratta di un portantino di lettiera reale in perfetto stato di conservazione, che indossa un cappuccio con taglio trapezoidale e bande verticali di colori chiari e scuri alternati. I suoi ornamenti e la postura attestano la valenza cerimoniale del luogo sacro ai Chimù...


a cura della redazione 29 giugno

Chan Chan, la più grande città di mattoni adobe d'America, continua a far luce sulla sua grandezza. Ne è prova il recente ritrovamento di una scultura in legno dalle caratteristiche eccezionali, scoperta durante i lavori di scavo per la terza fase del progetto di recupero del complesso archeologico. Secondo i ricercatori del Chan Chan Archaeological Complex Special Project (PECACH), il ritrovamento di questa scultura in legno, lunga 47 centimetri per 16 di larghezza, documentata in un contesto secondario, allude a un personaggio che appare come cargador de andas, o portantino di lettiera reale, probabilmente di un sovrano della cultura Chimú. Siamo alla periferia di Trujillo, nel Perù nord-occidentale. 

Il pezzo è stato portato alla luce durante i lavori di conservazione della Huaca Takaynamo, una struttura piramidale a nord dell'antico complesso. La scultura non è stata ancora datata, ma lo stile indica che appartiene al primo periodo Chimú, tra gli 850 e i 1.470 anni fa, il che la rende una delle più antiche trovate nel sito. Nonostante l'età avanzata, si presenta in ottime condizioni, completo della sua vernice brillante originale. 

Rappresenta una figura maschile con le braccia piegate e le gambe dritte. In perfetto stato di conservazione, porta un cappuccio con un taglio trapezoidale nella parte superiore. Ha come decoro sette bande verticali di colori chiari e scuri alternati, con una fascia orizzontale scura sulla fronte. La gonna che indossa ha al centro un triangolo scuro e il bordo è decorato con fasce rettangolari simili a quelle del cappuccio. Il viso è di forma ovale e piatto, ad eccezione di una vera e propria meridiana del naso che si protende verso l'alto. È dipinto di rosso. Gli occhi sono a mandorla, riempiti con una resina nera originariamente utilizzata come adesivo per intarsi in madreperla che ora sono andati perduti. Le orecchie, ovoidali e scavate, hanno uno strato della stessa resina nera. 

Il braccio sinistro, vicino al corpo, si piega a destra di 90 gradi rispetto al gomito, con la mano tesa davanti al busto. Anche il braccio destro si piega verso l'alto, aderendo al corpo in modo che la mano sia all'altezza delle spalle. Torso, braccia e mani erano dipinti di rosso. Sul petto si osservano macchie circolari scure. Il personaggio indossa una gonna dal taglio triangolare, il bordo è decorato con piccole fasce rettangolari, simili a quelle del copricapo. Il centro è uno spazio triangolare di colorazione scura. Le gambe sono dritte e i piedi leggermente divaricati; la parte anteriore di essi è stata parzialmente mozzata. Accanto alla scultura, gli archeologi hanno scoperto semi di nectandra, noti per essere stati usati per scopi rituali nel Perù pre-ispanico. Erano infilati su un filo da indossare come collana. Sotto la figura c'era una piccola borsa nera cucita con filo decorativo marrone e bianco.

Gli intagli o le sculture in legno di Chimú sono sia fissi sia mobili. I primi sono documentati all'ingresso di alcuni complessi murari di Chan Chan, da un segmento non scolpito che, una volta interrato, fissa la porzione scolpita dell'elemento al suolo. La scultura mobile manca di un tale elemento, come altri esemplari documentati in alcune huacas. L'Huaca Takaynamo si trova a nord del complesso principale di Chan Chan. È in corso lo scavo nell'ambito di un più ampio progetto di conservazione e studio per saperne di più sugli edifici periferici della città antica e su come conservarli per un'eventuale esposizione. Per César Gálvez Mora, direttore del Progetto Speciale del Complesso Archeologico di Chan Chan, non vi è dubbio: "La scultura del portatore di lettiera è la prova chiave che la huaca aveva una funzione cerimoniale".


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a cura della redazione, 29 giugno

La ricerca archeoacustica è focalizzata sul dare vita ai suoni prodotti da persone nel lontano passato. Nessuna registrazione uditiva resta e gli strumenti o non esistono più o sono estremamente rari. Un'eccezione sono le rocce suonanti, note come “litofoni”, che suonano quando vengono colpite. Uno studio, svolto su  una pittura rupestre delle montagne Cederberg, nella provincia del Capo Occidentale del Sud Africa, risalente ad almeno 2000 anni fa. 

Le figure umane in questo dipinto sono state interpretate come guaritori che impugnano fruste e che eseguono una trance-dance. Le fruste da mosca erano un accessorio importante per la danza. Ma i risultati suggeriscono che quelle fruste per mosche sono in realtà strumenti musicali di un tipo noto come "!Goin !Goin" , un nome che esiste solo nell'ormai estinta lingua Xam parlata dai cacciatori-raccoglitori nell'Africa centro-meridionale. 

Il "!Goin !Goin" è un aerofono: questi strumenti producono suoni creando vibrazioni nell'aria quando vengono fatti ruotare attorno ai loro assi. Per raggiungere questa conclusione gli studiosi hanno combinato le tecniche di recupero delle immagini digitali con strumenti creati da modelli a grandezza naturale. Gli otto strumenti sono stati suonati in uno studio sonoro di Città del Capo e i suoni sono stati registrati. 

Il suono prodotto dagli strumenti ricreati corrisponde in modo convincente allo spettro sonoro (90 – 150 Hz) prodotto da un modello simile del XIX secolo dell'aerofono !Goin !Goin , che è archiviato nella Kirby Collection of Musical Instruments, curata dal Collegio della Musica dell'Università di Città del Capo. Si tratta di un suono ronzante come quello di uno sciame di api. Difatti i cacciatori-raccoglitori di lingua Xam associavano il suono del !Goin !Goin alle api mellifere. 

Sono arrivati persino a dire che con il !Goin !Goin potevano "spostare le api”. Il dipinto di Cederberg è uno dei soli quattro esempi conosciuti associabili all'aerofono nella regione dell'Africa meridionale. Altri dipinti sono stati al momento interpretati come illustrazioni di fruste. I risultati suggeriscono la necessità di maggiori approfondimenti nello studio delle pitture rupestri, in quanto, alcune delle raffigurazioni della frusta volante potrebbero essere rivisitate in chiave musicale. Il che rende la trance dance degli individui rappresentati ancora più credibile. È noto che tutti i sensi, non solo la vista, presentino allucinazioni in stato di trance e che l'allucinazione uditiva più frequente, quella del ronzio, è interpretata come il suono delle api, del vento impetuoso o dell'acqua che cade.


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I grani sacri, raggruppati attorno al collo di uno degli scheletri più antichi rinvenuti in questo luogo, furono ricavati dalle vertebre di un salmone...


a cura della redazione 27 giugno

Il primo esempio in assoluto di rosari della Gran Bretagna medievale è stato scoperto sull'isola di Lindisfarne, conosciuta anche come Holy Island, al largo della costa del Northumberland. I grani sacri, raggruppati attorno al collo di uno degli scheletri più antichi rinvenuti in questo luogo, forse uno dei monaci sepolti all'interno del famoso monastero altomedievale, risalgono a un periodo tra l'VIII e il IX secolo d.C.. Un dato rilevante, per l'importante valenza simbolica del pesce in seno al primo cristianesimo (ΙΧΘΥΣ - Ichthys è l'acronimo usato dai primi cristiani per indicare il Cristo), è che il rosario sia stato ricavato dalle vertebre di un salmone, simbolo del sacrificio e del guerriero spirituale che, con coraggio, percorre indomito il suo cammino per giungere alla sorgente della consapevolezza. 

LO SAPEVI CHE - Un pesce che in natura sfida le correnti avverse, e in quanto tale è associato alla direzione: invita a ponderare le proprie scelte, a capire se si è intrapresa la giusta strada o no, sprona ad un atteggiamento proattivo e a perseverare nel momento in cui si compie una scelta importante.  Aiuta dnque a comprendere lo scopo della propria esistenza e a realizzarlo con fermezza.  Secondo un’antica leggenda celtica, cinque salmoni hanno dimorato nel Pozzo di Connla, sopravvivendo grazie al nutrimento ricavato dai nove noccioli della saggezza, caduti dagli alberi che circondavano la fontana. In questo modo, ogni Salmone ha acquisito tutto il sapere universale divenendo, per i Celti, simbolo di sapienza e di conoscenza. Ancora oggi, i gallesi e gli irlandesi considerano i salmoni come gli spiriti guardiani di tutti i corsi d’acqua, in grado di lottare contro ogni ostacolo.

Da notare che questo è anche l' unico artefatto trovato all'interno di una tomba qui Lindisfarne, quindi è un oggetto molto significativo. Nel 1997, nella vicina cappella medievale di Chevington, sono state trovate vertebre di pesce con modifiche simili. Ma provenivano dal merluzzo dell'Atlantico, e quella sepoltura risaliva al XIII o XIV secolo, mentre questo è molto precedente.

LO SAPEVI CHE - Lindisfarne è una piccola isola visibile dal castello di Bamburgh, appena al largo della costa del Northumberland. Un luogo che si può raggiungere solo con la bassa marea, dove le persone vengono a godersi lunghe passeggiate sulle desolate spiagge di sabbia bianca. Ma un tempo era il cuore pulsante del regno altomedievale di Northumbria, con un famoso monastero che si trovava proprio al centro di un'ampia rete di rotte marittime che attraversavano il Mare del Nord e si estendevano fino al cuore dell'Europa.

Lindisfarne non è un comune sito archeologico, bensì è uno dei più iconici della Gran Bretagna. È qui che i re di Northumbria, nel VII secolo, fondarono un importante centro religioso, dove i monaci crearono i Vangeli di Lindisfarne e dove abili artigiani forgiarono i tesori che adornavano gli altari dell'Europa altomedievale. È anche il luogo in cui i Vichinghi lanciarono una serie di devastanti incursioni nell'VIII, IX e X secolo. Di conseguenza, il monastero altomedievale che un tempo sorgeva qui fu lasciato in rovina: la sua posizione originaria, insieme a molte delle sue storie, andò perduta nel tempo. 

ASCOLTA IL PODCAST DELLA BRITISH LIBRARY (in inglese) - L'Evangeliario di Lindisfarne è un manoscritto miniato nello stile dell'arte insulare e scritto in maiuscole irlandesi. Il monastero di Lindisfarne, dove fu realizzato, era a capo, secondo l'usanza della Chiesa celtica e anglosassone, anche di una diocesi. Il libro venne qui conservato fino all'875, poi spostato in seguito alle incursioni vichinghe, ora è conservato alla British Library di Londra

Fu qui che i monaci crearono i Vangeli di Lindisfarne, il manoscritto più spettacolare sopravvissuto dall'Inghilterra anglosassone. Il dottor David Petts, co-direttore del progetto DigVenntures, istituito per portare alla luce la storia perduta di questo luogo remoto, e specialista in Cristianesimo Primitivo presso l'Università di Durham, sostiene che le vertebre dei pesci sono grani di preghiera per la devozione personale: "Crediamo che queste perline fossero usate come oggetto di fede personale, soprattutto perché la nostra parola moderna bead deriva dall'antico inglese gebed, che significa "preghiera". A parte monaci e re, chi viveva qui? L'area di scavo comprende resti di strutture altomedievali e parte di un cimitero. Finora, le prove recuperate risalgono all'VIII, IX e X secolo, quando Lindisfarne era all'apice della sua fama. Finora gli scavi si sono concentrati sul primo strato all'interno di un cimitero che si trova accanto alle rovine del priorato del XII secolo. 

Durante le indagini archeologiche sono stati trovate rune incise su lapidi e oggetti di uso quotidiano (come il pettine nella foto in basso a sinistra). Tra i reperti oltre a monete e manufatti in rame, anche un raro pezzo da gioco in vetro e strani simboli scolpiti nella pietra. Realizzato in vetro blu brillante, un particolare gioco da tavolo di oltre 1.000 anni fa è impreziosito da un anello di cinque bobine bianche. Proviene probabilmente da un set utilizzato per giocare a una versione unicamente britannica del romano Ludus Latrunculorum, gioco di guerra in voga in Gran Bretagna, Danimarca, Islanda, Irlanda, Norvegia e Svezia prima dell’arrivo degli scacchi nell’XI-XII secolo. Le rune, invece, sono i simboli della più antica scrittura germanica, connessi con la parola «ryna» che vuol dire «sussurrare». Nella cultura nordica esse contengono il segreto stesso dell’esistenza. Tra le più emblematiche quelle incise su «Agata Nera». Il colore di questa pietra evoca il sacrificio del dio Odino e la morte necessaria per acquisire la Sapienza. Cos'altro troveranno? Tale è l'enormità del sito che il team continuerà gli scavi per altri quattro anni alla ricerca di altri preziosi resti del monastero saccheggiato dai Vichinghi.


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