Durante gli scavi a ridosso di una fossa nella bassa Franconia, è stata scoperta una scultura in argilla che risale a migliaia di anni fa. La fisionomia della statuina e il luogo del suo ritrovamento ne indicano un'inequivocabile funzione di oggetto di culto, unico nel suo genere per l'Europa centrale...


a cura della redazione, 13 luglio

Durante uno scavo per i lavori di costruzione della circonvallazione di Mönchstockheim, in Baviera, gli archeologi hanno scoperto un reperto unico nel suo genere per l'Europa centrale, che rappresenta un'antichissima Dea dell'Acqua. Statuette simili, in argilla, sono state rinvenute nella regione occidentale del Mar Nero, l'odierna Bulgaria, e risalgono al V millennio a.C.. Finemente modellata, con le orbite, il naso, le labbra e il mento chiaramente visibili, l'effige preistorica è alta solo 19 centimetri.

Purtroppo diverse parti del viso si sono staccate: la figura una volta aveva un naso adunco, che ricorda il modo in cui venivano raffigurati gli uccelli acquatici, e zigomi ingrossati. Stefanie Berg, capo conservatore dell'Ufficio statale bavarese per la Conservazione dei Monumenti, ritiene che questi ultimi potessero essere corna o una specie di cerchio intorno alla testa, una sorta di aureola. Il suo volto resta astratto, non personalizzato, come se indossasse una maschera sciamanica. Ogni lato della testa presenta cinque fori, dall'altezza del mento inferiore fin sopra la linea dell'occhio, che potrebbero essere stati il supporto per anelli di metallo. Infine, la forma del corpo, in un unico blocco, non fornisce alcuna informazione sul sesso. Mancano le gambe e la superficie anteriore della parte superiore del busto.

Gli archeologi ritengono che non sia un caso che la statuina giacesse in profondità, in quello che un tempo era uno "specchio d'acqua", nell'altopiano oggi arido della Franconia, circondato da sorgenti. La fisionomia, come il luogo del ritrovamento, ci parlano della sua funzione di oggetto di culto con un forte legame con l'Acqua e il Femminino Sacro. Simbolicamente questa fonte di vita, paragonabile al liquido amniotico in cui è immerso il feto, è un elemento chiave legato alla Dea Madre che ricongiunge Cielo e Terra. 

Il Femminino Sacro dominava ogni aspetto della vita in tutte le regioni comprese nell’area della Vecchia Europa, in un periodo che va approssimativamente dal 7000 al 3500 a. C., dove sono state trovate moltissime statuette sacre dai tratti femminili (più di 30.000). Marija Gimbutas, che studiò migliaia di queste statuette e di oggetti, suddivise i simboli iconografici rappresentati in due categorie. Ci sono quelli che appartengono agli elementi dell’aria, dell’acqua e della pioggia, repertati su tutta l’oggettistica, il vasellame e i modelli in creta dei templi, come losanghe, labirinti, spirali, linee a zigzag, onde, uova di serpente e uccello. E quelli che appartengono al ciclo delle stagioni e della vita, come la croce (legata ai quattro elementi della dimensione materiale, ai punti cardinali e alle stagioni), la croce in un cerchio, la croce uncinata, la luna crescente, le corna bovine, il carro, l'uovo, il pesce (quest'ultimo meriterebbe un discorso a parte in quanto legato alla vulva della Dea e al mito dell'uovo primordiale). In questo reperto troviamo sia il naso uncinato, che richiama la simbologia dell’uccello, considerato anticamente una creatura dell’acqua, sia la mezza falce di luna o le corna, che partirebbero dagli zigomi, associate sin dal Paleolitico alla fertilità e al ciclo di morte e rinascita che governa l’Universo.
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La piccola figura in argilla era custodita insieme a pezzi di vetro, ceramiche, strumenti in osso e un sigillo. I reperti ceramici non mostrano segni da esposizione agli agenti atmosferici, suggerendo siano stati intenzionalmente depositati come offerte. "È plausibile che le persone a quel tempo considerassero questo luogo sacro e che la piccola statuetta servisse loro come offerta rituale o addirittura gli attribuissero poteri magici", spiega in un comunicato il curatore generale Prof. Mathias Pfeil, capo dell'Ufficio Statale per la Conservazione dei Monumenti Bavaresi.

FOTO ©Bayerisches Landesamt für Denkmalpflege - Anche il sigillo in argilla rinvenuto nello stesso sito è estremamente insolito. La sua superficie di stampa è curva verso l'interno, gli esperti ritengono che fosse usato per decorare materiali organici

La piccola Dea è stata trovata in una fossa preistorica, nelle vicinanze di un insediamento del periodo Hallstatt ai margini della pianura di Unkenbach. La cultura di Hallstatt fu predominante nell'Europa occidentale e centrale durante la tarda età del bronzo e la prima età del ferro, così chiamata da un villaggio sul lago nel Salzkammergut austriaco a sud-est di Salisburgo. Gli scienziati hanno datato al radiocarbonio un pezzo di carbone e un chicco di grano bruciato trovati accanto alla figura e hanno scoperto che entrambi risalgono all'VIII-VI secolo a.C.. Un indizio che ha portato i ricercatori dell'Ufficio bavarese a ipotizzare che il misterioso oggetto possa risalire a un culto praticato in questi luoghi 2.800 a 2.500 anni fa. Non è chiaro, però, se la statuina sia un oggetto più antico, tramandato per millenni. 


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Fino a un quarto di tutte le impronte sulle pareti di antiche caverne in Spagna furono realizzate da piccoli umani, anche neonati...

I ricercatori hanno scoperto quella che è forse l'opera d'arte più antica del mondo, riproducendone una scansione tridimensionale, su un promontorio roccioso a Quesang sull'altopiano tibetano


a cura della redazione, 25 marzo

Negli ultimi decenni, è stato identificato un numero crescente di impronte di mani umane sulle pareti delle caverne, tale da entrare in competizione con altre forme di arte rupestre: 750 rappresentazioni distribuite in Francia, Regno Unito, Spagna e Italia, che costituiscono un corpus nutrito di indizi su usi e costumi del Paleolitico. Un recente articolo pubblicato sul Journal of Archaeological Science da Verónica Fernández-Navarro e Diego Garate, dell'Università della Cantabria, insieme a Edgard Camarós, dell'Università di Cambridge, ha iniziato ad analizzare alcune di quelle impronte da una nuova e intrigate prospettiva. Nella loro ricerca, gli studiosi hanno preso a campione cinque grotte in Spagna (Fuente del Salín, Castillo, La Garma, Maltravieso e Fuente del Trucho), scoprendo che la maggior parte delle impronte di mano "umana" riprodotta su quelle pareti di pietra furono realizzate soffiando polvere di pigmento attraverso un osso cavo o una canna su mani talmente piccole ce avrebbero potuto essere solo di bambini, anche piccolissimi, oppure di nani. Il che cambia la prospettiva di chi realizzò i disegni, e l'arte rupestre preistorica in generale, registrati in tutto il mondo. Sino ad oggi, gli scienziati erano generalmente d'accordo sul fatto che fossero stati realizzati da uomini adulti, o appena adolescenti, appartenenti a un gruppo elitario a scopo iniziatico. In questo nuovo studio, i ricercatori hanno trovato prove che suggeriscono che fino a un quarto di tutte le impronte presenti sulle pareti delle caverne furono realizzate usando mani dalle dimensioni talmente piccole, e alcune sono state attribuite a bambini anche di pochi mesi. Perché tanta prevalenza di bambini? Quale poteva essere il loro ruolo in seno al contesto rituale cui sono stati collegati tali stampi? 

Attualmente, nell'arte paleolitica europea sono note 56 grotte con motivi a mano umana. Questi contengono un totale di 769 mani, di cui il 90% sono immagini negative o stencil, il 9% sono immagini o impronte positive e l'1% sono rappresentazioni miste. Le grotte con questi motivi sono concentrate in due aree principali, la Spagna settentrionale e la Francia meridionale. Per la precisione, 30 delle grotte si trovano in Francia, 23 in Spagna, 1 a Gibilterra e 2 in Italia.

Storicamente, i primi tentativi di avvicinamento alla presenza dei bambini nelle popolazioni paleolitiche sono stati considerati attraverso gli studi antropologici di resti ossei nei contesti mortuari di siti come: Lagar Velho in Portogallo, Sungir in Russia, Dolní Věstonice in Moravia, Kostenki in Russia, Krems in Austria, Abri Pataud e La Madeleine nella Dordogna francese, e la Grotta des Enfants in Italia, nonché ritrovamenti di resti di bambini umani. Anche gli studi etnologici hanno avuto un ruolo importante per sintonizzarsi con le interconnessioni e le sovrapposizioni tra il mondo degli adulti e quello dei bambini tra cacciatori-raccoglitori e altre società “tradizionali” e il possibile ruolo di questi bambini all'interno delle loro comunità. Studi recenti hanno gradualmente introdotto la considerazione dei bambini come generatori della documentazione archeologica. Nel caso del Paleolitico si sono concentrati sulla ricerca di prove dell'apprendimento nella riduzione litica; l'interpretazione di alcuni oggetti come giocattoli; e la trasmissione della conoscenza delle attività artistiche, come l'incisione e arte parietale.

L'opera d'arte più antica è una sequenza di mani e impronte scoperte sull'altopiano tibetano. Le stampe risalgono alla metà del Pleistocene, tra 169.000 e 226.000 anni fa, da tre a quattro volte più antiche delle famose pitture rupestri in Indonesia, Francia e Spagna che risalgono a un periodo compreso tra i 45.000 e i 30.000 anni fa. Una scoperta del 2018, annunciata a settembre 2021, e che ha lasciato aperte le. più diverse interpretazioni del valore simbolico attribuito alle impronte delle mani, lasciati dagli ominidi centinaia di migliaia di ani prima, e non a caso si trattava, anche allora, di di impronte individui moto giovani. Bambini di Homo sapiens?

I ricercatori hanno notato che, invece di appoggiare le mani sul muro, la maggior parte delle stampe era stata eseguita tenendo la mano a una leggera distanza dalla parete, generando una sorta di stencil con un aspetto leggermente 3D. Nel replicare la tecnica, gli studiosi hanno scoperto che lo stampo risultava essere leggermente più grande della "mano matrice" utilizzata per crearlo. Hanno quindi studiato da vicino centinaia di impronte cercando di riprodurle con la stessa procedura utilizzata anticamente. Misurazioni accurate hanno indicato che molte delle mani appartenevano a bambini, compresi neonati e bambini d pochi anni, o comunque a individui molto minuti. L'abbondante ed omogenea partecipazione dei bambini dai quattro anni di età e almeno fino ai nove anni, suggerisce che individui di tutte le età prendessero parte all'attività grafica e che la creazione di arte rupestre potrebbe quindi essere stata un'azione collettiva delle società preistoriche.


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a cura della redazione, 12 marzo

Chi e perché più di 12.000 anni fa, ritrasse una stupefacente gamma di bestie dell'era glaciale? Bradipi giganteschi delle dimensioni di un'auto, enormi erbivori, elefanti preistorici e un animale simile a un cervo con un muso allungato. Questi giganti estinti sono tra i molti animali immortalati in un fregio di pitture rupestri lungo 13 chilometri. Siamo a Serranía de la Lindosa, nella foresta pluviale amazzonica colombiana. Un nuovo studio, pubblicato lunedì sulla rivista Philosophical Transactions of the Royal Society, ci parla di arte creata da alcuni dei primi esseri umani a vivere nell'attuale Colombia centro-meridionale. Jose Iriarte, professore presso il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Exeter (Regno Unito), pensa che il murale sia stato dipinto nel corso di secoli, se non di millenni, e potrebbe rappresentare l'arrivo degli umani in Sud America, l'ultima regione ad essere colonizzata dall'Homo sapiens mentre si diffondevano in tutto il mondo dall'Africa, loro luogo di origine. 

Questi pionieri del nord avrebbero affrontato animali sconosciuti in un paesaggio sconosciuto. Iriate suggerisce che gli esseri umani moderni in migrazione avrebbero potuto incontrare una tale megafauna dell'era glaciale durante il loro viaggio in Sud America. Tra gli animali raffigurati spiccano un gomphothere (una creatura simile a un elefante con la testa a cupola e le orecchie svasate), un lignaggio estinto di cavallo con un collo spesso, un enorme camelide o lama, e un ungulato a tre dita con un tronco. Sebbene i pigmenti rossi utilizzati per realizzare l'arte rupestre non siano stati ancora datati direttamente, Iriarte ha affermato che i frammenti di ocra trovati negli strati di sedimenti durante gli scavi del terreno sotto le pareti rocciose verticali dipinte risalgono a 12.600 anni fa. Se un agente legante contenente carbonio è stato aggiunto all'ocra per creare i dipinti, i ricercatori potrebbero essere in grado di datare direttamente l'arte rupestre.


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Uno studio internazionale della Valle del Sado, in Portogallo, suggerisce che i popoli mesolitici europei potrebbero aver eseguito trattamenti come l’essiccazione attraverso la mummificazione già 8.000 anni fa...

Uno studio internazionale della Valle del Sado, in Portogallo, suggerisce che i popoli mesolitici europei potrebbero aver eseguito trattamenti come l’essiccazione attraverso la mummificazione già 8.000 anni fa…


a cura della redazione, 3 marzo

Fino ad ora, i casi più antichi di mummificazione intenzionale erano noti dai cacciatori-raccoglitori Chinchorro che vivevano nella regione costiera del deserto di Atacama nel nord del Cile circa 7.000 anni fa, tuttavia, la maggior parte delle mummie sopravvissute in tutto il mondo sono più recenti, databili tra pochi cento anni e fino a 4000 anni fa. Fotografie scoperte di recente dagli scavi degli anni ‘60 nella Valle del Sado hanno permesso agli archeologi di ricostruire le posizioni in cui furono sepolti i corpi, fornendo un’opportunità unica per saperne di più sui rituali funerari che si svolgevano 8.000 anni fa. 

Questa scoperta è stata fatta dai ricercatori in connessione con un’analisi di tombe del Mesolitico, Mesolitico, in Portogallo. I risultati dello studio, condotto in collaborazione tra l’Università di Uppsala, l’Università di Linnaeus e l’Università di Lisbona, sono stati pubblicati sull’European Journal of Archaeology. Lo studio a combinato archeologia e archeotanatologia, un metodo utilizzato per documentare e analizzare i resti umani, raffrontando la decomposizione umana con le osservazioni della distribuzione spaziale delle ossa, con la collaborazione del Forensic Anthropology Research Facility presso la Texas State University. Gli archeologi hanno così potuto ricostruire come il cadavere sia stato maneggiato dopo la morte e come sia stato sepolto, anche se sono trascorsi diversi millenni. L’analisi ha mostrato che alcuni corpi erano sepolti in posizioni estremamente flesse con le gambe piegate all’altezza delle ginocchia e posti davanti al petto. 

L’iperflessione degli arti, l’assenza di disarticolazione in parti significative dello scheletro e un rapido riempimento di sedimenti attorno alle ossa indicano, secondo gli studiosi, un processo di mummificazione. Durante la decomposizione, infatti, le ossa di solito si disarticolano in corrispondenza delle giunture deboli, come i piedi, ma nei casi studiati sono rimaste in posizione. I ricercatori propongono che questo schema di iperflessione e mancanza di disarticolazione potrebbe essere spiegato se il corpo non fosse stato deposto nella tomba come un cadavere fresco, ma in uno stato essiccato come un cadavere mummificato. “Questi sono reperti insoliti. Le mummie più famose al mondo sono significativamente più giovani e si stima che abbiano un’età compresa tra 4.000 e un paio di centinaia di anni. Ma possiamo dimostrare che i corpi venivano intenzionalmente trattati per essere essiccati e mummificati prima della sepoltura già nel Mesolitico. Tale forma di rituale di sepoltura non è mai stata dimostrata prima nell’età della pietra dei cacciatori europei”, afferma nel comunicato stampa Rita Peyroteo Stjerna, archeologa e ricercatrice dell’Università di Uppsala, che insieme a Liv Nilsson Stutz dell'Università di Linnaeus è la prima autrice dello studio. 

L’essiccazione non solo mantiene alcune di queste articolazioni altrimenti deboli, ma consente anche una forte flessione del corpo poiché l’intervallo di movimento aumenta quando il volume dei tessuti molli è minore. Poiché i corpi sono stati essiccati prima della sepoltura, c’è pochissimo o nessun sedimento presente tra le ossa e le articolazioni sono mantenute dal continuo riempimento del terreno circostante che sostiene le ossa e impedisce il collasso delle articolazioni. I ricercatori suggeriscono che i modelli osservati potrebbero essere il prodotto di un processo di mummificazione naturale guidato. La manipolazione del corpo durante la mummificazione sarebbe avvenuta per un lungo periodo di tempo, durante il quale il corpo si sarebbe gradualmente essiccato per mantenere la sua integrità corporea e contemporaneamente si sarebbe contratto legandosi con una corda o bende per comprimerlo nella posizione desiderata. 

Al termine del processo, il corpo sarebbe stato più facile da trasportare, essendo più contratto e significativamente più leggero del cadavere fresco, assicurando che fosse sepolto mantenendo il suo aspetto e l’integrità anatomica. Se la mummificazione in Europa è più antica di quanto suggerito in precedenza, emerge una serie di intuizioni relative alle pratiche funebri delle comunità mesolitiche, inclusa una preoccupazione centrale per il mantenimento dell’integrità del corpo e la sua trasformazione fisica da cadavere a mummia curata. Queste pratiche sottolineerebbero anche il significato dei luoghi di sepoltura e l’importanza di portare i morti in questi luoghi in modo da contenere e proteggere il corpo, seguendo principi culturalmente regolati, evidenziando il significato sia del corpo che del luogo di sepoltura in Portogallo mesolitico 8.000 anni fa.


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Con l’aiuto di tomografie ad alta risoluzione, gli scienziati gettano nuova luce sulla statuetta sacra di 30.000 anni fa, che potrebbe essere stata scolpita nel calcare oolitico della regione del Lago di Garda. Alcuni indizi la collegano però all'Est Europa…

Con l’aiuto di tomografie ad alta risoluzione, gli scienziati gettano nuova luce sulla statuetta sacra di 30.000 anni fa, che potrebbe essere stata scolpita nel calcare oolitico della regione del Lago di Garda. Alcuni indizi la collegano però all'Est Europa…


a cura della redazione, 28 febbraio

Quella della Bassa Austria non è una statuetta speciale solo per il design, ma anche per il materiale di cui è composta. Alta quasi 11 centimetri, è uno dei più importanti esempi di arte antica in Europa. Mentre altre Veneri sono solitamente realizzate in avorio o osso, a volte anche con pietre diverse, per la Venere di Willendorf è stata utilizzata l’oolite, una roccia che non si trova nei dintorni, ma che soprattutto è unica per tali oggetti di culto. La figura, trovata nel Wachau nel 1908, è oggi esposta al Museo di Storia Naturale di Vienna. Più di 100 anni dopo l’antropologo Gerhard Weber dell’Università di Vienna ha utilizzato un nuovo metodo per esaminare il suo interno: la tomografia microcomputerizzata. Lo studio è stato pubblicato su “Scientific Reports”. 

LO SAPEVI CHE - Tra le rappresentazioni femminili del Gravettiano vi sono tipologie sovraregionali come le statuine naturalistiche, ad esempio Lespugue, Willendorf e Kostenki, e rappresentazioni astratte che spesso combinano caratteristiche maschili e femminili, distribuite dalla Francia alla Russia.

Insieme a due geologi, Alexander Lukeneder e Mathias Harzhauser del Museo di Storia Naturale di Vienna, e al preistorico Walpurga Antl-Weiser, Weber ha procurato campioni comparativi dall’Austria e dall’Europa e li ha valutati. Un progetto complesso: sono stati prelevati, segati ed esaminati al microscopio campioni di roccia dalla Francia all’Ucraina orientale, dalla Germania alla Sicilia. L’elemento che ha aiutato i ricercatori a restringere la possibile fonte del calcare è uno dei frammenti di conchiglia nella figurina, datato al periodo giurassico. Confrontando le sue proprietà microscopiche con campioni raccolti in Austria e in altri luoghi in Europa, gli scienziati hanno scoperto che il materiale della Venere era statisticamente indistinguibile dai campioni prelevati dalla regione del Lago di Garda. Nel comunicato stampa diramato dall’Università di Vienna, Weber suggerisce che la statuetta abbia attraversato le Alpi per un lungo periodo mentre le persone viaggiavano lungo i fiumi in cerca di prede e di un clima adatto.

Attraverso diversi passaggi, gli scienziati hanno ottenuto immagini con una risoluzione fino a 11,5 micrometri, una qualità che altrimenti si vede solo al microscopio. La componente principale della Venere sarebbe oolite porosa, una roccia sedimentaria formata da grani sferici composti da strati concentrici. I nuclei dei milioni di ooidi (letteralmete "uova") che la compongono si erano dissolti. Questo implica che lo scultore abbia scelto un simile materiale 30.000 anni fa: era molto più facile lavorarlo. Gli scienziati hanno anche identificato un minuscolo residuo di conchiglia, lungo solo 2,5 millimetri, e lo hanno datato al periodo giurassico. Ciò ha escluso tutti gli altri potenziali depositi della roccia dell’era geologica del Miocene molto più tarda, come quelli nel vicino bacino di Vienna. Lo studio ha così rivelato sedimenti di diverse densità e dimensioni, resti di conchiglie e grossi grani ferrosi chiamati limoniti. Weber, ritiene che le cavità sulla superficie della statuetta siano apparse proprio quando si sono staccate durante l’intaglio, originando l’ombelico di Venere. 

Nessuno dei campioni entro un raggio di 200 chilometri da Willendorf corrispondeva nemmeno lontanamente. L’analisi ha mostrato che erano statisticamente indistinguibili dai campioni provenienti da Sega di Ala, una località nei pressi dell’importante sito paleolitico della Grotta di Fumane, vicino al Lago di Garda, nel nord Italia. Questo significa che Venere, o almeno il suo materiale, viaggiò dal sud delle Alpi verso il Danubio, a nord. Un viaggio che avrebbe potuto richiedere generazioni, sia attraverso la pianura pannonica sia attraverso le Alpi. Non è chiaro se ciò fosse possibile più di 30.000 anni fa: il sentiero lungo 730 chilometri lungo l’Adige, l’Inn e il Danubio è a 1.000 metri dal livello del mare, ad eccezione dei 35 chilometri del Lago di Resia. Il che suggerirebbe una diffusione di gruppi umani che aggiravano, o addirittura attraversavano, le Alpi nei tempi precedenti l’ultimo massimo glaciale. 

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Tuttavia, c'è un altro luogo interessante per l’origine della roccia. Si trova nell’Ucraina orientale, a più di 1.600 chilometri in linea d’aria da Willendorf. I campioni lì non si adattano chiaramente come quelli italiani, ma meglio di tutti gli altri. D’altronde le figurine di Venere trovate nella vicina Russia meridionale, anche se sono un po’ più “giovani”, sembrano molto simili alla Venere trovata in Austria. Il che indicherebbe un lungo periodo e diffusione a distanza di reperti culturali nel corso delle generazioni dall’Oriente all’Occidente. In ogni caso, i risultati suggeriscono una notevole mobilità dei gravettiani circa 30.000 anni fa.


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L’uomo viveva sulla penisola arabica 210.000 anni fa, anche durante i periodi di siccità...

Jebel Fayah, situato a Sharjah, negli Emirati Arabi Uniti, è uno dei più importanti siti paleolitici in Arabia. Nel 2009 gli scavi hanno rivelato l'occupazione umana risalente a 125.000 anni fa, rendendolo l'allora più antico sito umano conosciuto in Arabia. Nuovi dati archeologici indicano che l'insediamento umano nell'Arabia meridionale si è verificato in una gamma inaspettata di condizioni climatiche e significativamente prima di quanto si pensasse...


a cura della redazione, 7 febbraio

Secondo un comunicato diramato dall’Università di Friburgo, tra i 210.000 e i 120.000 anni fa, il popolo paleolitico occupò ripetutamente Jebel Fayah, un rifugio roccioso nell’Arabia meridionale. Un team internazionale di ricercatori, tra cui Knut Bretzke, dell’Università di Tubinga, Adrian Parker, dell’Università di Oxford Brookes, e Frank Preusser, dell’Università di Friburgo, ha datato le fasi di occupazione della grotta con la luminescenza, che determina quando i grani di quarzo presenti negli strati di sedimenti sono stati esposti per l’ultima volta alla luce del giorno. È stato così possible ricostruire i paleoambienti per i diversi periodi di tempo. I ricercatori hanno determinato che il riparo roccioso fu occupato durante fasi di condizioni climatiche estremamente secche e umide. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports.

In precedenza si pensava che i migranti fuori dall’Africa evitassero di viaggiare attraverso l’Arabia durante queste fasi siccitose. Sino ad oggi, infatti, la documentazione archeologica araba aveva supportato la speculazione dell’occupazione umana in quest’area legata a periodi di maggiore piovosità, mentre la siccità avrebbe portato alla contrazione delle popolazioni umane in rifugi come la regione del bacino del Golfo, le montagne del Dhofar e la zona litoranea adiacente, nonché la pianura costiera del Mar Rosso. “Pensiamo che l'interazione unica della flessibilità comportamentale umana, i paesaggi a mosaico dell'Arabia sudorientale e il verificarsi di brevi periodi di condizioni più umide hanno consentito la sopravvivenza di questi primi gruppi umani", spiega nel comunicato  Bretzke.


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In una cava vicino a Swindon, nella regione dei Cotswolds in Inghilterra, due cacciatori di fossili identificano un’ascia di pietra dei Neanderthal e cinque scheletri dei mastodonti preistorici...


BBC ONE, 21 dicembre

In una cava vicino a Swindon nella regione dei Cotswolds in Inghilterra, dopo che due cacciatori di fossili hanno identificato un’ascia di pietra dei Neanderthal, gli archeologi hanno portato alla luce cinque scheletri di mammut preistorici della steppa: zanne, denti e ossa delle zampe di due adulti, due giovani e un esemplare appena nato. I primi cacciatori vivevano qui 215.000 anni fa? Tra i reperti anche fragili ali di scarabeo, gusci di lumaca d'acqua dolce e strumenti di pietra dell'età di Neanderthal. Trovare esempi così antichi, in questo caso così ben conservati e così vicini agli strumenti in pietra di Neanderthal, è eccezionale. I mammut delle steppe vissero da circa 1,8 milioni di anni fa a circa 200.000 anni fa. Pertanto, se si determina che i segni di taglio trovati sulle ossa sono stati fatti a mano, quello di Swindon diventa il più antico sito di macellazione di Neanderthal scientificamente riconosciuto in tutta la Gran Bretagna. Siamo di fronte alla scoperta dell'era glaciale più significativa negli ultimi anni per comprendere meglio il contesto del cambiamento climatico attraversato dal nostro pianeta. Per cinque milioni di anni, i mammut hanno vagato per la Terra prima di svanire definitivamente quasi 4.000 anni fa. E fino a otto settimane fa nessuno sapeva perché fosse successo. Un articolo pubblicato questo ottobre sulla rivista "Nature" , dal professor Eske Willerslev, un membro del St John's College, dell'Università di Cambridge, ha dimostrato come gli scheletri di mammut fossero tradizionalmente usati per costruire rifugi e che gli arpioni fossero ricavati dalle loro zanne giganti. Tuttavia, nessuno è mai stato abbastanza sicuro che i cacciatori umani abbiano effettivamente contribuito all’estinzione di questa specie già provata dalla mancanza di vegetazione, loro fonte di cibo, causata dallo scioglimento degli iceberg. Con il riscaldamento del clima, gli alberi e le piante delle zone umide hanno preso il sopravvento e hanno sostituito gli habitat ancestrali delle praterie del mammut. Tutte queste scoperte saranno esplorate in un nuovo documentario della BBC, “Attenborough and the Mammoth Graveyard”, che andrà in onda il 30 dicembre 2021. Questo spettacolo vedrà anche la partecipazione del biologo evoluzionista, il professor Ben Garrod della University of East Anglia e gli archeologi del team di “DigVentures”, che hanno anche scoperto anche fragili ali di scarabeo, gusci di lumaca d'acqua dolce e strumenti di pietra dell'età di Neanderthal.


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Scoperta in Italia la sepoltura altamente decorata di 10.000 anni fa di una bambina adornata con 60 perline in conchiglie perfettamente forate, quattro ciondoli ricavati da frammenti di bivalvi e un artiglio di gufo reale...


Scientific Report (Nature), 14 dicembre

Scoperta in Italia la sepoltura altamente decorata di 10.000 anni fa di una bambina adornata con 60 perline in conchiglie perfettamente forate, quattro ciondoli ricavati da frammenti di bivalvi e un artiglio di gufo reale. Gli archeologi l'hanno chiamata Neve, è la bambina più antica mai ritrovata in una sepoltura del primo Mesolitico in Europa. La scoperta, appena pubblicata sulla rivista "Nature", è stata fatta in Liguria, nella grotta Arma Veirana, nell'entroterra di Albenga, in provincia di Savona. Gli esami del DNA e dei denti hanno portato gli scienziati a indicare che la neonata avesse tra i 40 e i 50 giorni di vita quando morì. Questa scoperta testimonia come tutti i membri della comunità, anche i neonati, anticamente erano riconosciuti come persone a pieno titolo e godevano di un trattamento egualitario. La sepoltura di Neve è simile a quella di bambini di 11.500 anni precedentemente trovati a  Upward Sun River, in Alaska. Ciò suggerisce che questo atteggiamento sociale potrebbe avere origine da una cultura ancestrale condivisa con i popoli che migrarono in Europa e Nord America. La scoperta, e lo studio correlato, sono frutto del lavoro di un team coordinato da ricercatori italiani - Stefano Benazzi (Università di Bologna), Fabio Negrino (Università di Genova) e Marco Peresani (Univerisità di Ferrara) - e comprende anche studiosi della University of Colorado Denver (Usa), dell'Università di Montreal (Canada), della Washington University (Usa), dell'Università di Tubinga (Germania) e dell'Institute of Human Origins dell'Arizona State University (Usa). Gli scienziati sottolineano, nell'articolo, come sia molto raro ritrovare sepolture ben conservate come questa nel periodo in questione, immediatamente dopo la fine dell'ultima glaciazione. Arma Veirana è un luogo popolare nell'Italia nord-occidentale, non solo tra le famiglie locali, ma anche tra i saccheggiatori, i cui scavi hanno portato alla luce gli strumenti della tarda era glaciale che per primi hanno attirato l'attenzione degli archeologi nel 2015. Il team ha trascorso le prime due stagioni lavorando vicino all'imboccatura della grotta, dove hanno scoperto i cosiddetti strumenti "musteriani" associati ai Neanderthal e risalenti a più di 50.000 anni fa. Incuriositi dalla scoperta di strumenti più "recenti", che sembravano essere erosi dalle profondità della grotta, i ricercatori hanno iniziato a esplorare questi strati di sedimenti, dissotterrando una serie di perline di conchiglie perfettamente perforate, come da uno strumento di alta tecnologia, che presto hanno portato alla scoperta della calotta cranica di Neve da parte dell'antropologa Claudine Gravel-Miguel. 


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I ricercatori potrebbero aver scoperto le prime prove di ominidi, o primi esseri umani, che trasformano l'ambiente. L'impronta distintiva dell’attività dell’uomo è stata identificata vicino a un grande specchio d'acqua nella regione che circonda un luogo di scavo nella valle di Geisel in Sassonia-Anhalt, risalente a circa 125.000 anni fa…


Science Advance, 15 dicembre 

I ricercatori potrebbero aver scoperto le prime prove di ominidi, o primi esseri umani, che trasformano l'ambiente. L'impronta distintiva dell’attività dell’uomo è stata identificata vicino a un grande specchio d'acqua nella regione che circonda un luogo di scavo nella valle di Geisel in Sassonia-Anhalt, risalente a circa 125.000 anni fa. Centinaia di ossa di animali macellati, circa 20.000 manufatti in pietra e prove di incendi sono stati scoperti in un sito di Neanderthal nel bacino del lago Neumark-Nord nella valle del Geisel, nella Germania centrale, da un team di ricercatori guidati da Wil Roebroeks dell'Università di Leida. Campioni di polline antico nel sito indicano che l'area era stata ripulita dagli alberi, mentre i conteggi del polline nelle vicine montagne Harz mostrano che erano boschive. I Neanderthal e altri primi esseri umani sono stati un fattore nel plasmare la vegetazione in questo ambiente. Sulla base di tali evidenze, gli studiosi ritengono che le attività che includono la caccia, la lavorazione degli animali, la produzione di utensili e l'uso del fuoco potrebbero spiegare perché le foreste della regione sono state disboscate durante questo periodo rispetto alla vegetazione che circonda altri laghi vicini. La scoperta aggiunge un aspetto importante al comportamento umano primitivo, compreso l'uomo di Neandertal, poiché mostra che gli esseri umani erano già un fattore visibile a livello locale nella formazione della vegetazione 125.000 anni fa. I risultati della ricerca, ancora in corso, potrebbero complicare la comprensione da parte degli scienziati dell'ultimo periodo interglaciale, iniziato circa 130.000 anni fa e terminato circa 115.000 anni fa.


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